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Come già detto, Bailey et al., (2008) ritengono che i fondali marini dotati di caratteristiche vantaggiose per un’occupazione umana (presenza di un porto naturale, sorgenti di acqua dolce…) potrebbero contenere dei resti archeologici relativi al periodo dell’emersione. La previsione vale naturalmente anche per le zone vicine ai grandi fiumi lungo i quali si svilupparono le civiltà antiche.
In accordo con la cronologia accettata, i suddetti resti dovrebbero risalire al paleolitico, ma gli argomenti esposti nel capitolo precedente lasciano pensare che si potrebbero trovare anche le tracce di un ipotetico precoce passaggio al neolitico.
Cercare resti archeologici nel delta di un fiume è un’impresa disperata (come il caso del Nilo insegna), dovuta non solo a ragioni tecniche (l’allagamento sistematico degli scavi), ma anche, soprattutto, al continuo arrivo di sedimenti, che cancella le tracce precedenti o le rimescola con altre, successive, provenienti da tratti fluviali più a monte.
Solo nel caso di zone rimaste palesemente indisturbate (ad esempio siti abitati continuativamente anche in epoche successive) si può pensare di trovarsi in luoghi non sconvolti dal mutare dei rami fluviali e sperare che la profondità stratigrafica rispetti l’antichità dei reperti.
Fuori dai delta, altre potenziali zone d’indagine sono i banchi marini vicini alla costa, i quali sarebbero stati delle isole prima dei Melt Water Pulses.
La disponibilità di droni sottomarini a basso costo, materializzatasi di recente, faciliterà presto l’esplorazione subacquea e c’è da aspettarsi che, vicino alle foci dei grandi fiumi storici, le ricerche si moltiplicheranno, spinte dall’orgoglio nazionale.
Vedrete che, nel giro di qualche anno, diversi esploratori reclameranno di aver scoperto Atlantide. L’avranno trovata lungo le coste del Mar Cinese o dell’Oceano Indiano o del Golfo Persico. E non avranno nemmeno torto a vantarsi della scoperta, perché avranno trovato tracce di società umane più evolute di quanto oggi ritenuto confacente al tempo corrispondente.
Insomma, undicimila e cinquecento anni fa, di Atlantidi ce ne potrebbero essere state tante. Tutto sommato, diversi autori, che già oggi le collocano nei posti più disparati, potrebbero, aver ragione. Il punto però è questo: ce n’è (o ce ne sarà) qualcuna identificabile con quella di Platone?
Una prima risposta si può avere considerando lo stato delle comunicazioni nel tempo antico. Per quanto ne so, non ci sono tracce di consapevolezza delle civiltà orientali (indiane o cinesi) nel mondo greco arcaico. Ciò rende molto improbabile la trasmissione di una leggenda orientale (da contraffare alla bisogna) alla cultura greca in tempi vicini a quelli di Platone. Ma ancora più inverosimile in periodi precedenti, quando comunicazioni più disagevoli e l’inesistenza della scrittura ne avrebbero reso la diffusione ancor più labile ed imprecisa.
In altre parole, sebbene sia ragionevole ipotizzare una transizione verso il neolitico, contemporanea a quella Mediorientale, anche in estremo Oriente, non è plausibile che la fama di tale transizione possa essere giunta a Platone (o agli Egiziani, nel caso in cui la congettura su Atlantide e nascita della civiltà egiziana sia corretta). Per suscitare echi nel Mediterraneo, il tumultuoso passaggio al neolitico deve essere stato un evento avvenuto o all’interno del bacino o nelle zone limitrofe in comunicazione con esso (il Golfo Persico, per esempio).
Un’altra indicazione che giova rispettare è quella climatica. Ricordando che la transizione avvenne in Medio Oriente, per trovare una replica conviene probabilmente cercare delle condizioni climatiche simili. La zona “temperata”, che accoglie oggi gran parte della popolazione umana, era fredda e per lo più inospitale durante l’era glaciale. Per trovare le regioni più popolate prima dei MWP, è meglio guardare nelle fasce più calde, confortevoli già nell’era glaciale
In altre parole, benché l’Adriatico, il golfo di Odessa e il mar d’Azov siano state delle vaste pianure prima del MWP 1a, è improbabile che abbiano ospitato un numero di tribù sufficientemente vasto e variegato da innescare indipendentemente il salto nel neolitico. Le stesse considerazioni valgono, a maggior ragione, per i vasti bassifondi atlantici che circondavano Francia, Irlanda e Gran Bretagna, nonché per quasi tutto il mar Baltico, prevalentemente coperti dal permafrost.
Anche se si tratta di valutazioni dovute solo al buon senso, che poco hanno di scientifico e che potrebbero venire facilmente smentite da futuri ritrovamenti, è senz’altro più economico, a parità di altri indizi, cercare le tracce del salto evolutivo nelle regioni in cui le tribù furono presumibilmente più numerose e diversificate, ed in cui la variazione climatica fu la stessa di quella mediorientale. Al di sotto del 38° parallelo, in altre parole.
Restringendo la ricerca alla fascia a sud del 38° parallelo, il numero di regioni emerse prima del MWP 1a e potenzialmente interessanti, si riduce, pur rimanendo abbastanza cospicuo. Proviamo ad elencarle, partendo proprio da dove il neolitico ebbe archeologicamente inizio.
A nord-est di Cipro, in quello che oggi è il golfo di Alessandretta, una estesa pianura alluvionale alla foce dei fiumi Ceyhan e Seyhan, delimitava proprio l’estremità occidentale della “mezzaluna fertile” in cui un paio di millenni dopo sarebbe nata l’agricoltura (Purugganan & Fuller, 2009).
Dal lato opposto di Cipro, un’altra fertile pianura, il delta del Nilo, tre volte più grande di oggi, si protendeva nel Mediterraneo circondata da un deserto, arido come quello odierno (Gasse, 2000).
Un po’ più a nord del parallelo, al centro dell’Egeo le Cicladi erano raggruppate in un'unica isola (forse collegata alla terraferma da un ponte terrestre). A quel tempo, chi avesse voluto procurarsi l’ossidiana di Melos non avrebbe dovuto affrontare pericolosi viaggi per mare.
Più o meno alla stessa latitudine di Cipro, ad ovest del golfo della Sirte, un’altra pianura alluvionale, più estesa di quelle nominate prima e formata dai fiumi che allora scendevano dai monti dell’Atlante, aveva ridotto il Canale di Sicilia ad una serie di stretti che separavano l’Africa dall’Europa.
All'interno del continente africano, le vaste depressioni dell'odierno deserto tunisino erano colme d'acqua e formavano dei laghi enormi (deMenocal et al., 2000).
Per finire l’elenco dei fondali rilevanti bisogna citare, oltre lo stretto di Gibilterra, il delta del Guadalquivir, nel golfo di Cadice, che, pur non essendo molto vasto, si trovava comunque alla latitudine giusta.
Volendo cercare un posto in cui un eventuale precoce passaggio al neolitico potesse aver dato origine al mito degli Dei che avrebbero conquistato l’Egitto portandovi la civiltà, conviene cercare tra i cinque candidati elencati. Anche se l’isola che raggruppava le Cicladi sarebbe l’unico territorio non situato nel delta di un fiume e quindi forse non troppo indicato per stimolare la nascita dell’agricoltura.
Le mappe di sopra riportano la linea di costa valida fino a quando il livello del mare fu un centinaio di metri più basso di oggi. Ci danno un’idea di quali regioni costiere gli uomini preferissero durante il paleolitico, ma quando arrivarono i Melt Water Pulses il mare salì velocemente e la geografia cambiò.
Sebbene alcune indicazioni di massima rimangano valide (ad esempio è probabile che i fondali del delta del Nilo e del golfo di Alessandretta siano stati occupati nel periodo paleolitico) è molto difficile farsi un’idea delle regioni abitabili prima del secondo MWP in assenza di mappe più precise (soprattutto se si ha l’intenzione di cercare delle tracce archeologiche).
Riassumo, semplificando, la supposta sequenza degli eventi. Circa quindicimila anni fa (livello -90 m) avvenne un primo grande sconvolgimento climatico (il MWP 1a): la temperatura salì di colpo ed il mare inondò molte terre che erano abitate. La nuova linea di costa (livello -70 m) disegnò una geografia diversa. Le tribù che vivevano sul mare, se poterono, si risistemarono nelle regioni più interne, se no, emigrarono. Il caldo e la novità dei luoghi non sempre furono compatibili coi vecchi metodi di procurarsi il cibo e fu necessario ingegnarsi a trovarne di nuovi.
Il caldo durò millecinquecento anni e la gente si adattò al nuovo clima. I ghiacciai continuarono a sciogliersi ed il mare a salire, stavolta gradualmente. Ma, tredicimila anni fa, un colpo di coda dell’era glaciale (lo Younger Dryas) riportò il freddo per altri millecinquecento anni. La gente si riadattò al freddo, ma probabilmente conservò le tecniche di sopravvivenza che nel frattempo aveva imparato.
Undicimila e cinquecento anni fa, un nuovo sconquasso climatico (il MWP 1b) rialzò le temperature ed il mare sommerse (livello -50 m) anche le nuove terre occupate dopo lo sconvolgimento precedente. Altre catastrofi e migrazioni lo accompagnarono: fu il momento della distruzione di Atlantide, secondo Platone.
Se la sequenza enunciata fosse vera, bisognerebbe allora cercare le regioni costiere più favorevoli all’occupazione umana quando il livello del mare sarebbe stato una sessantina di metri più basso di oggi (subito prima del MWP 1b), ricostruendo la linea di costa di quel tempo. Una cosa facile a dirsi, ma difficile a farsi.
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