Primo smart Maggio, festa degli smart workers.
È raro che succeda qualcosa di totalmente nuovo e, da siciliano stagionato, penso basti guardare nel passato per capire cosa ci attenda.
Durante un'epidemia la distribuzione temporale dei contagiati somiglia a una campana. In letteratura si possono reperire le curve di diverse epidemie influenzali passate: è interessante notare che tutte partono da zero, raggiungono il massimo e poi ritornano a zero in circa sei mesi (guarda caso: in quelli invernali). La parte centrale (quella più grave) dell'epidemia (dal 10% al massimo e ritorno) dura di solito due o tre mesi.
E, in passato, l’estate ha sempre ridotto i contagi di molto, ma senza esaurire l’epidemia, che si è ripresentata, in forma via via più blanda, l’inverno successivo e anche quello dopo. Questo è successo sia per la “spagnola” del 1918, che per le “asiatiche” del 1957 e del 1968.
La spagnola fu un evento terribile, anche perché colpì delle popolazioni già duramente provate dalla guerra, tuttavia non è che le due asiatiche siano state particolarmente benigne: entrambe uccisero tra uno e due milioni di persone (con una popolazione umana metà di quella attuale), un tributo non lontano da quello che ci si aspetta per l'attuale coronavirus. Né passarono inosservate (nel ’57, quando fui sul punto di morire di polmonite, mia madre se ne accorse, eccome!). Ma la gente era abituata ad accettare le malattie con più fatalismo: allora l’immunità di gregge era l’unica opzione per sopravvivere alle epidemie.
Oggi è diverso, la gente non è più disposta a morire d'influenza. Gl’inglesi dicono che la colpa è della gente che si è rammollita. Non hanno tutti i torti, anche se, quando è toccato al loro capo, lui si è tolto dalle pecore e si è messo coi pastori.
Però c’è qualcos’altro che è cambiato rispetto agli anni cinquanta o sessanta. Allora, la gente affrontava il rischio del contagio per portare a casa il pane e il companatico, oggi dovrebbe rischiare la vita per avere qualche mega in più sulla fotocamera del nuovo iphone: non bisogna stupirsi se tituba.
Ma oggi è il primo maggio ed io non voglio distogliervi dal vero dramma di quest’epidemia: il fatto che né Vasco Rossi, né Gianna Nannini possano esibirsi al concertone di piazza San Giovanni.
Per aiutarli ho aperto una sottoscrizione, mandatemi i vostri soldi che poi, io glieli faccio avere. Mi raccomando.
P. S. La mia bislacca ipotesi che la bassa mortalità del meridione abbia a che vedere con l'insolazione l'hanno pensata anche per la spagnola di cent'anni fa. Ma quelli che l'hanno ipotizzata non erano di certo smart come i milanesi d'oggi: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2835877/.
21 aprile, compleanno di Roma.
Da qualche settimana l’Istat pubblica i grafici della mortalità di circa 1500 comuni italiani. Sul sito:
https://www.istat.it/it/archivio/241428, scegliendo Lombardia, provincia di Milano e quindi comune di Milano, si ottiene il grafico di sotto, che confronta i primi mesi del 2020 con quelli del 2019.
Milano è molto interessante perché è una grande città e non è stata sede di un focolaio incontrollato (come Bergamo per es.). Inoltre il numero dei suoi abitanti è abbastanza elevato da fornire una stima statisticamente significativa. La prima cosa che si nota è che fino al 10 marzo 2020 erano deceduti quattro/cinquecento milanesi meno del 2019. Poi, per circa venti giorni, i decessi sono aumentati rapidamente, come si vede dalla diversa pendenza della curva. A fine marzo i decessi erano tre/quattrocento più dell’anno scorso. Secondo l’Istat, in marzo a Milano città sono morte 2000 persone, contro le 1200 morte nello stesso periodo del 2019. Siccome nessuno si è accorto di un aumento improvviso degli incidenti stradali o di qualche altra epidemia, è ragionevole attribuire questi 800 in più agli effetti del coronavirus.
A questo punto se si potesse confrontare questo numero con quello ufficiale dei morti con coronavirus fornito dalla protezione civile, si capirebbe di quanto i numeri snocciolati alle sei del pomeriggio sottostimino la gravità dell’epidemia.
Ma questo è chiedere troppo. La protezione civile aggrega i dati di mortalità per regione e non per comune. D'altronde è un ente sovrano e quindi confeziona i dati secondo i gusti personali del suo vertice.
P. S. Ho visto oggi che il Sole 24 Ore conferma quanto detto sopra
https://www.ilsole24ore.com/art/mortalita-covid-19-il-picco-decessi-triplicati-lombardia-ADv6VNL
e si accorge finalmente anche della minore mortalità al sud. Ma esclude che il fenomeno possa essere collegato all'inquinamento, al vento o al sole (vedi miei post a partire dal 31 marzo) e attribuisce i minori decessi alla solerzia con cui i meridionali hanno adottato le misure di distanziamento sociale, imposte dal nord. D'altra parte La Repubblica sostiene che le poche vittime del Portogallo rispetto alla Spagna sono dovute al suo efficiente governo di sinistra e non al vento dell'Atlantico che spazza le sue coste. Il problema sorge col bassissimo numero di decessi della Grecia, che ha sì aria pulita, vento e sole, ma purtroppo un governo di destra. La soluzione l'ha trovata il Corriere della Sera: si sono salvati perché hanno, umilmente, copiato le misure di distanziamento sociale adottate dagli italiani, che stimano e ammirano. L'effetto dell'umiltà è evidente: Francia, Spagna e Gran Bretagna ci hanno sì copiato, ma senza stirarci e ammirarci, e quindi...
18 aprile, "Il raggio verde" di E. Rohmer.
Tutti concordano che, da un paio di settimane, il calo nei ricoveri in terapia intensiva lasci intravedere un raggio di speranza nell'evoluzione dell'epidemia.
Il guaio è che dei circa cinquecento decessi per coronavirus, che ogni giorno si registrano negli ospedali italiani, meno di un quarto riguarda pazienti ricoverati in terapia intensiva, ma più di tre quarti, quattrocento diciamo, riguarda ricoverati ordinari.
Per cercare di salvarli, perché alcuni dei quattrocento moribondi "ordinari" non vengono ricoverati nei posti di terapia intensiva che si vanno liberando?
Rovinerebbero il calo delle curve?
P. S. A seguito delle richieste di apertura di Fontana e Zaia, il governatore De Luca ha minacciato di chiudere la Campania agli italiani delle altre regioni. Bloccherà l'uscita dei caselli e, forse, anche l'accesso alle pompe di benzina. L'essenziale è che lasci libero il passaggio autostradale. Anche perché, andando in macchina da Roma alla Sicilia, evito sempre di sostare negli autogrill campani, dopo che una volta mi hanno spaccato un finestrino.
De Luca ha tutte le ragioni a temere il contagio dei settentrionali. È ben noto che il contagio venga diffuso da delinquenti che fingono di prendere il sole in spiaggia. Durante un'operazione di contrasto alla mafia, ndrangheta e camorra, un contagista romagnolo è stato infatti neutralizzato dalle forze dell'ordine, mentre da Rimini puntava il suo raggio laser virustrasportatore curvante verso l'ufficio del governatore campano. L'astio dei settentrionali verso il sud purtroppo è incontenibile.
16 aprile, "Il giorno dello sciacallo" di F. Zinnemann.
Nonostante in Lombardia si continui a morire al solito passo, i politici del nord hanno contato i like su facebook, e si sono accorti che la gente si è scocciata di stare a casa. Con un doppio salto mortale (il primo fu quello di chiudere tutto, dopo aver detto che si trattava della solita influenza di stagione) hanno deciso di riaprire tutto, prima degli altri.
Hanno infatti capito che il contagio in Lombardia è stato provocato da quel malefico bagnante solitario, che sulla spiaggia di Mondello fingeva di sdraiarsi al sole. Dotato di un raggio laser teletrasportatore curvante, nascosto sotto il telomare, inviava virus letali al Pio Albergo Trivulzio e nelle altre case di riposo lombarde. È ben noto, infatti, che il coronavirus incubato nella quarume e nel pane c’a meusa sia la mutazione geneticamente più letale che ci sia.
Ma, grazie all’intervento dell'elicottero, che ha neutralizzato il funesto palermitano, la situazione in Lombardia è ora destinata a migliorare rapidamente, ed è quindi inutile mantenere il distanziamento sociale.
È giusto che sia la sua classe politica, che ha permesso all’Italia di raggiungere il podio internazionale del maggior numero di morti pro capite, a dettare le nuove regole per affrontare l’emergenza. È stato, infatti, grazie al contributo della regione con più morti al mondo, che questo podio ci è stato assicurato, a dispetto dell’indolenza di tutti quei pelandroni, che al sud, non ne vogliono sapere di morire come al nord.
Nota dell'ultimo momento. Ieri dei geniali inventori modenesi hanno proposto di circondare col plexiglass i lettini e gli ombrelloni di Rimini, per accelerare l’avvio della stagione balneare. Non vediamo l’ora di giacere sotto il sole, privati di qualunque refolo di vento. Per portarmi avanti col programma, ho già cominciato a sudare.
Dagli all'untore! (10 aprile 2020).
Oggi, in prima pagina, il Corriere della Sera mostra il video di un corridore solitario inseguito da un carabiniere sul lungomare. Il giornale milanese stigmatizza il suo comportamento e orgogliosamente riferisce che è stato poi identificato e pesantemente multato. Che i corridori solitari siano la principale causa della diffusione dell’epidemia è attualmente la teoria scientifica più accreditata nel nord Italia.
Non si spiegherebbe altrimenti la mortalità nella pianura padana, funestata dall'alto numero di runners che spargono i propri miasmi, respirando profondamente mentre corrono lungo le spiagge del Po.
È evidente che l’inquinamento, il sole e il vento non c’entrino niente, come dimostra la bassissima mortalità di Grecia, Portogallo e Irlanda (1, 4 e 5 decessi ogni centomila abitanti), paesi notoriamente privi di spiagge e corridori. Mortalità analoga a quella dell'Italia meridionale, i cui abitanti, a causa della loro proverbiale indolenza, se ne stanno spiaggiati sul divano, anziché ansimare sulle strade.
Nota aggiunta l'11 aprile. Oggi il Corriere della Sera riferisce di quattro studi delle università del Colorado, di Princeton, del MIT di Boston e della statale di Milano, che evidenziano una correlazione tra il clima caldo e la minore diffusione del virus. Il Corriere fa notare che si tratta di una semplice correlazione statistica e che gli articoli non siano stati ancora peer reviewed. In sostanza, il fatto che al sud il coronavirus uccida dieci volte di meno rispetto al nord potrebbe essere dovuto a una fluttuazione. Anche oggi il Corriere rinnova gli auguri di pronta guarigione a Boris Johnson, ma che muoiano così pochi meridionali non riesce proprio a mandarlo giù.
L'appiattimento delle curve (9 aprile 2020).
La gente si sta stancando del virus. Lo sento tra i conoscenti e lo deduco dal numero di visitatori di questo blog. Non vede l’ora che le curve si appiattiscano e che finisca questa storia. Bisogna dire che le curve si stanno adeguando.
Nel frattempo, si consolida la stima che i contagiati veri siano molti di più di quelli ufficiali e i nuovi studi convergono sulla cifra di circa cinque milioni al mese, sia per marzo che per aprile (vedi post del primo aprile).
E poi? Quando a maggio i casi rilevati (e i decessi) saranno molti di meno, che ne sarà dei contagi? Continueranno? Magari in maniera asintomatica, portandoci all’immunità di gregge alla fine dell’estate? Boh, possiamo solo sperarlo.
Al punto in cui siamo, tuttavia, qualche parziale conclusione la possiamo trarre. A dispetto dei menagrami, che dipingevano il sud in ritardo rispetto al nord (come sempre) e ne profetizzavano la decimazione, provocata dalla sua proverbiale indisciplina, le cose non sono andate così. Il sud, il tempo di recuperare lo ha avuto (guardate di cosa è stata capace la Spagna in una sola settimana), ma non lo ha fatto.
Sofia ha ridisegnato i grafici con i decessi pro capite. Nel sud ogni centomila abitanti ci sono stati 3 morti, nel Veneto 15 e in Lombardia 100. I padani devono farsene una regione: c’è qualcosa nella loro aria che bene non fa. Non dev’essere soltanto un capriccio di Eurostat il fatto che la pianura padana sia la regione più inquinata d’Europa.
Sarà forse il sole, a infastidire il virus, o sarà il vento di mare, che lo diluisce e lo disperde, fatto sta che le regioni più assolate e più vicino al mare hanno molti meno malati. Non solo in Italia, ma anche in Spagna, come si vede dai due screenshot tratti dall'Economist online.
In Grecia, al momento, c'è meno di un morto ogni centomila abitanti. Lì, il Corriere della Sera di oggi (8 aprile) si aspettava un'ecatombe, dovuta alla loro abitudine di familiarizzare all'aperto! Ma hai voglia a tossire, se il meltemi si porta via le goccioline. È al chiuso il problema! Però, quelli che prendevano l'aperitivo nei locali, perché Milano non si ferma!, ora s'indignano se i meridionali vanno in spiaggia, magari da soli.
La vicinanza del mare si fa sentire pure in Francia e in Gran Bretagna (potete vedere le mappe su wikipedia inglese). Concludo con un paio di numeri di Johns Hopkins: in Portogallo ci sono dieci volte meno morti della Spagna (pro capite) e in Irlanda tre volte meno che in Gran Bretagna. Che dite: il vento dell’Oceano Atlantico c’entrerà qualcosa?
L'unico guaio è che anche le Marche sono sul mare, mi ha fatto notare Sofia.
La carica dei trentamila (5 aprile 2020).
Manco a dirlo. Ieri mattina ho scritto che ancora non si vedevano gli effetti della carica dei trentamila, e ieri sera la curva della Sicilia è diventata un po' più ripida. Una rondine non fa primavera e un solo punto non fa tendenza statistica, però non ci voleva. Oggi la ripidezza si è attenuata, ma vedremo domani se l’effetto sui nonni dei trentamila siciliani rientrati da Milano c'è o non c'è.
Visto che ci sono ormai abbastanza dati, le curve della Calabria e della Campania sono ora presentate in maniera indipendente.
Per finire, un commento alla proposta di Salvini di riunirsi in chiesa a pregare il buon Dio. Mi ricorda la vecchia barzelletta del napoletano che, appena morto, andò a lamentarsi con san Gennaro per non aver mai vinto la lotteria, nonostante tutte le preghiere. “Ma tu, almeno un biglietto, lo potevi comprare! Mi avrebbe aiutato.” fu la risposta di san Gennaro. Forse, ciò che crede opportuno, il buon Dio lo sta già facendo. Perché Salvini vuole renderglielo più gravoso, aumentando il numero di contagiati?
Al sud è meglio? (3 aprile 2020).
Il sospetto che i dati sperimentali che si sta cercando di interpretare siano sbagliati è scoraggiante quando si cerca di costruire un modello. Il primo aprile l’Istat ha pubblicato una tabella coi numeri dei decessi avvenuti nelle prime tre settimane di marzo in mille comuni italiani che hanno comunicato i propri dati anagrafici (vedi post del 1 aprile).
Sono numeri da interpretare con attenzione, ma una cosa è certa: i morti veri sembrano molti di più di quelli annunciati alle sei di ogni giorno.
Insomma, i dati dell'Istat svalutano il grafico di sopra, costruito sui dati comunicati dalla protezione civile. Le curve potrebbero tuttavia conservare l’indicazione dell’andamento temporale dell’epidemia.
Può darsi, infatti, che benché sottostimati, i dati della protezione civile siano proporzionali ai decessi veri, e non artefatti come sembrano invece essere i numeri dei guariti e dei ricoverati (magari per motivi di propaganda politica).
Purtroppo è possibile che la stima di cinquantamila morti in più nel mese di marzo venga confermata, man mano che l’Istat andrà completando il quadro totale dei decessi di marzo. Se questa cifra sarà seguita da una analoga in aprile, sarà facile superare la soglia di centomila, quando si farà il bilancio in tutt'Italia. Significa che, in compenso, raggiungeremo prima l’immunità di gregge tanto di moda in questo periodo.
Nel frattempo, c’è però un’informazione accessoria che può essere estratta dalle curve. Prendiamo quella della Sicilia: l’impatto dei trentamila emigrati tornati da Milano due settimane fa non si nota ancora sul numero di morti. Può darsi che sia soltanto questione di tempo e che il dramma sia dietro l’angolo, ma al momento, confrontando la curva siciliana con le fasi analoghe di quelle padane, sembra proprio che il sole, la temperatura e l’aria pulita facciano la differenza. Le prossime due settimane confermeranno o smentiranno questa sensazione. Tanto più che, fino adesso, neanche il Lazio sembra aver voluto seguire il nord nell'ecatombe.
Pesce d'aprile? (1 aprile 2020).
Oggi pomeriggio l’Istat ha divulgato la tabella dei decessi compresi tra l'1 e il 21 marzo 2020 dei circa mille comuni italiani che hanno pubblicato i propri dati.
Per ogni comune, l’Istat ha reso noto anche il numero di decessi avvenuti nel corrispondente periodo del 2019,
https://www.istat.it/it/archivio/240401 (Andamento dei decessi 2020 - Tavola decessi), permettendo così il raffronto da un anno all'altro.
Sommando i decessi del 2019 di tutti i comuni pubblicati si ottiene 8000, equivalente a un quinto dei decessi avvenuti in tutta Italia nelle prime tre settimane di marzo del 2019. In altre parole, i comuni analizzati raggruppano un quinto della popolazione italiana.
Il guaio è che il numero di decessi registrato nel corrispondente periodo del 2020, risulta il doppio (16000) rispetto a quello del 2019. Allora, se i comuni fossero un campione statisticamente rappresentativo del paese (da controllare) l'ulteriore deduzione sarebbe che in Italia in marzo c'è stato il doppio dei morti abituali.
Cioè 54000 in più rispetto ai 54000 che sono la media mensile dei decessi italiani. Se la letalità fosse del 1.1% (quella stimata dall'ISPI) dovremmo allora aspettarci che oggi il numero di contagiati sia di circa 5 milioni di persone, molto superiore alle stime dell’ISS, ma molto vicino alle proiezioni dell’Imperial College (5.9 milioni).
Al di là delle polemiche tra i due istituti, se così fosse significherebbe che, di questo passo, alla fine dell’estate tra il 50 e il 60 % degli italiani sarà stato contagiato, e quindi molto vicino alla vituperata, ma anche agognata, immunità di gregge.
Ma sarà vero, o è un pesce d'aprile dell'Istat?
Ma il clima c'entra? (31 marzo 2020).
Oggi abbiamo inserito per la prima volta i dati della Sicilia da sola. Sono numeri piuttosto piccoli, ancora inferiori a cento e quindi dominati dall’incertezza statistica. Ma, meglio un grosso errore statistico che un migliaio di morti in più (quanti sarebbero se la Sicilia si trovasse nella pianura padana).
Per adesso, pro capite, i morti siciliani sono dieci volte di meno che nella penisola. Sarà interessante vedere se ciò sia dovuto a un semplice ritardo nella diffusione del virus (che ci toccherà recuperare) oppure alle diverse condizioni climatiche, della temperatura e dell’inquinamento dell’aria.
In effetti, in Europa il basso numero di morti in Portogallo (140), cinquanta volte di meno di quelli spagnoli (7000), e più in generale la minore incidenza di contagi nelle regioni affacciate sull’Atlantico, più esposte ai venti di mare rispetto a quelle continentali (l'Irlanda conta soltanto 54 morti), lasciano sperare che l’effetto climatico possa essere reale.
Questo non annulla l’efficacia del distanziamento sociale. Come dimostrano i seguaci della Chiesa di Gesù e del Tempio del Tabernacolo, che, pur essendo un’esigua minoranza, costituiscono il 60% dei contagiati in Corea (grazie alla pratica di riunirsi e tenersi per mano) o il numero di morti tra i convenuti al funerale di Albany in Georgia (che si sono abbracciati per le condoglianze): è il contatto fisico negli assembramenti la maggior causa di diffusione del virus.
Non occorrono altri cento aneddoti per capirlo: anche la medicina ufficiale lo afferma. Però il migliaio di morti di Bergamo non è stato dovuto alla partita Atalanta-Valencia (quarantamila spettatori), e il disastro sanitario di Madrid non è stato causato dalle centomila partecipanti alla manifestazione dell’8 marzo. Perché, quando gli conviene, il calcio e la politica hanno l’immunità dal coronavirus.
La flessione dei contagi (aggiornamento del 30 marzo 2020).
Ieri Sofia ha aggiornato le proiezioni del suo semplice modello (vedi post del 26) con i dati fino al 29 marzo. Fitta ancora molto bene i dati, il tempo di raddoppio dei decessi è rimasto lo stesso (4.35 giorni), ma l’asintoto si è spostato a circa 16000.
La mia opinione personale è che l’asintoto dei decessi si sposterà ancora: mi pare che sia ancora troppo presto per poter prevedere il cambio di curvatura con una certa affidabilità, ma io sono notoriamente pessimista.
Una modesta proposta (29 marzo 2020).
Sapere quanti italiani sono già stati infettati sarebbe utile per avere un’idea di quando l’Italia possa riaprire. Nel blog del 27 marzo ho scritto che un’indagine a campione potrebbe darci utili indicazioni al riguardo, ma credo che nessuno la farà mai. Questa è un’altra proposta, più grossolana, che però non richiede alcuno sforzo e nulla che già non si sappia.
Negli ultimi giorni, il numero dei decessi comunicato dalla protezione civile si aggira purtroppo attorno al migliaio. Questo numero è talmente alto da essere vicino al numero totale di morti giornalieri. Allora, per eliminare i dubbi tra decessi da virus o con virus, converrebbe prendere direttamente questo numero e vedere di quanto superi la media giornaliera dei tempi "normali" (circa 1800). Così facendo si potrebbe anche stimare quanti hanno contratto il virus, perché oggi nella comunità scientifica c’è un certo accordo sulla sua letalità. Ad esempio l’ISPI stima che il tasso di letalità in Italia sia dell’1.1 %, sensibilmente più alto dello 0.7 % cinese, a causa dell’anzianità della nostra popolazione.
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/coronavirus-la-letalita-italia-tra-apparenza-e-realta-25563
Ma potremmo anche tralasciare l’andamento quotidiano delle morti, e limitarci, ad esempio, al numero di decessi di questo mese, per confrontarlo con quello del marzo 2019. Infatti, da un anno all’altro la popolazione italiana è rimasta stabile e paragonare due mesi corrispondenti permetterebbe un confronto destagionalizzato. E siccome ogni mese in Italia muoiono in media 54000 persone, saremmo in grado di fare una stima accurata dell'eccesso di morti dovuto alla malattia.
Infatti, in una popolazione costante e in assenza di eventi eccezionali, i decessi di ogni mese si sistemano in una distribuzione chiamata Poissoniana. Senza entrare nei dettagli della statistica, questo vuol dire che si può sapere facilmente se un evento eccezionale (l’epidemia) provoca un numero di morti che non è compatibile con una semplice fluttuazione statistica.
Nella Poissoniana un valore aspettato di 54000 implica, per esempio, che la probabilità di rilevarne invece 55000, per una semplice fluttuazione, sia inferiore a uno su diecimila. Questo vuol dire che diecimila morti in più in marzo non possono essere un evento casuale, ma sono dovuti all'epidemia. Si noti che diecimila morti in più significherebbe circa un milione di contagi.
In pratica, se la letalità fosse dell’1.1%, basterebbe prendere la differenza tra le morti del marzo 2020 e quelle del marzo 2019 e moltiplicarla per 91 (l’inverso di 1.1%) per ottenere il numero di italiani che è stato contagiato in marzo. Tutto questo a prescindere dai pazienti zero, dai tamponati e dai ricoverati. Se venisse fuori che invece di diecimila, i decessi da virus fossero stati ventimila o trentamila, scopriremmo che la situazione è stata ben più grave, ma che siamo anche più vicini all'immunità di gregge.
In altre parole, basterebbe che ogni giorno il bollettino comunicasse pure il numero totale di morti registrato dall’anagrafe, per farci un'idea di quando finirà questo strazio. Ma mi rendo conto che è chiedere troppo a un paese in cui le chiacchiere hanno sempre il sopravvento sui fatti.
Come siamo messi oggi? (27 marzo 2020).
Sapere quale sia la reale diffusione del virus oggi, tra una settimana e poi tra un mese sarebbe di aiuto per capire quanto siano efficaci le misure di distanziamento sociale, nonché per quanto tempo convenga mantenerle.
In un paese in cui ogni settimana si fanno decine di sondaggi per sapere se gl’italiani intenzionati a votare Renzi siano aumentati o diminuiti dello 0,1%, è curioso che non si faccia un sondaggio per stimare quanti siano coloro che abbiano contratto il coronavirus.
Siamo sessanta milioni: facendo seimila tamponi oggi e seimila tra una settimana, si potrebbe avere un’idea di quale sia oggi la situazione e come stia evolvendo. Basterebbe scegliere un campione di persone non collegate tra loro, ma rappresentative della popolazione italiana, per capirci: 300 a Milano (5% della popolazione totale), 30 a Viterbo (0,5%), 120 a Bari (2%) e così via.
Si potrebbe stimare se in Italia la percentuale totale di chi ha contratto il virus sia inferiore all'1%, come pensano un po' tutti, o invece parecchio superiore. Sarebbe utile per capire quanto sia preoccupante la conta giornaliera dei decessi e cosa potremmo aspettarci nel prossimo futuro.
Dai numeri che si ottengono dal file excel scaricabile da
http://www.quadernodiepidemiologia.it/epi/campion/canno_e.htm
ne segue che per una popolazione di 60 milioni, un campione di 3000 (2994 per l’esattezza) persone dovrebbe essere sufficiente per determinare la presenza della malattia nello 0,1 % della popolazione (60000 persone) con un livello di confidenza del 95%, mentre per saperlo al 99% occorrerebbero 4603 tamponi.
In realtà, questi campioni sono quanti ne occorrono per escludere la presenza della malattia, in caso di zero positivi (è il metodo usato per garantire che un allevamento di bestiame non sia malato), ma di certo gli statistici conoscono i numeri precisi che occorrono per ottenere l’informazione richiesta con ragionevole certezza.
Qui mi fermo, perché tanto non mi aspetto che si faccia. Prendiamo le mascherine: tutti sapevano che in Italia non ne produciamo, ma l'unità di crisi costituita per affrontare l'emergenza, pur osservando in gennaio l’epidemia in Cina, non è riuscita a prevedere che le mascherine sarebbero servite anche a noi! Ha aspettato l’emergenza per avviare la produzione locale. A chi volete che interessi sapere come stanno le cose.
P. S. Due settimane fa ho inviato questa proposta a tre dei i maggiori giornali italiani. È stata ignorata.
La flessione dei contagi (26 marzo 2020).
Come ho detto nel post del 25 marzo, in un epidemia la fase iniziale di diffusione veloce viene seguita da una seconda fase di attenuazione dei contagi. Siccome l’andamento del grafico di ieri mostra già un certo rallentamento, la domanda che sorge spontanea è: siamo ancora nella fase di crescita esponenziale o ha già cominciato a prevalere l’attenuazione logistica?
Quando vedono un gruppo di punti su un grafico, i fisici non riescono a evitare la tentazione di interpolarli (o fittarli come dicono loro) con qualche funzione analitica. Le funzioni usate hanno sempre dei parametri liberi, che aggiustati ad hoc, di solito permettono di fittare bene i punti sperimentali, svelandone l’andamento. Infatti il mio amico Fiordilino suole chiosare: datemi quattro parametri liberi e con quei punti vi fitterò un elefante, datemene cinque e ve lo faccio anche barrire.
Fiordilino è un teorico e disdegna i mezzucci usati dagli sperimentali per descrivere la realtà, ma Sofia Rollet non ha di queste fisime e, per cercare di capire a che punto siamo dell’epidemia, ha provato a fittare i dati con una funzione esponenziale seguita da una funzione logistica.
Per la fase esponenziale ha usato via via tre funzioni (le curve rossa, verde e azzurra, per tener conto che l’esponenziale perde velocità col passare del tempo) del tipo:
a exp (b t)
dove t è il tempo, espresso in giorni, e a e b sono i famigerati parametri. Per il terzo esponenziale, quello azzurro valido negli ultimi giorni diciamo, i parametri sono
a = 63
b = 0.159
Per la fase logistica ha usato invece la curva viola:
a / (1 + exp (-b (t - c))
con a = 14000, b = 0.21 e c = 30.
c = 30 significa 30 giorni dall’inizio dell’epidemia in Italia, che in questo fit viene fissato al 24 febbraio, mentre a = 14000 è il numero finale di decessi (l’asintoto).
È evidente che questi valori introducono una forzante arbitraria nella descrizione dell’andamento, ma per il momento sono quelli che approssimano meglio i punti sperimentali. Probabilmente nei prossimi giorni, il numero dei nuovi decessi obbligherà a rivedere i valori di questi parametri (soprattutto dell'asintoto) a causa del temuto aumento di contagi nel sud Italia, ma attualmente questa è la migliore previsione che questo modello elementare possa fare.
Se il modello fosse corretto, significherebbe che il flesso (il momento in cui i punti smettono di seguire la curva azzurra, per porsi su quella viola) sarebbe stato un paio di giorni fa e che quindi staremmo lentamente uscendo dalla fase peggiore. Se così fosse, a fine aprile potremmo trarre un sospiro di sollievo per il numero di decessi giornalieri. Credo, però, che per andare al bar o al ristorante dovremo attendere ancora.
Il coronavirus (25 marzo 2020).
Di questi tempi alla gente piacerebbe sapere quando potrà vedere la luce in fondo al tunnel. Le epidemie hanno un andamento sostanzialmente prevedibile: una prima fase di diffusione molto veloce viene seguita da una seconda fase di attenuazione del contagio, che gradualmente ne esaurisce la forza.
All’inizio, quando nessuno è stato ancora contagiato, il virus si diffonde velocemente: se in ventiquattrore un individuo infetto ne contamina altri due, il giorno dopo ci saranno tre infetti: i due nuovi, più l'infetto del giorno prima. Questi tre infetti contageranno sei nuovi individui e, due giorni dopo, il numero totale di contagiati sarà di nove persone. È la fase comunemente chiamata esponenziale, in cui la contagiosità (il numero 2 in questo esempio) compare nell’esponente insieme al numero di giorni che passano.
Col passare del tempo, però, gl’individui che s’infettano diminuiscono, perché di regola chi ha già avuto la malattia non si riammala, per cui la contagiosità (il 2) cambia e diventa sempre più piccolo. Questa è la fase in cui inizia a prevalere la riduzione “logistica” dovuta cioè al numero di portatori di virus che la malattia ha a disposizione per trasmettersi. Alla fine, quando sono stati già contagiati quasi tutti, il virus non sa più chi infettare.
Quindi, sapere se prevalga la fase esponenziale oppure quella logistica, permette di avere un’idea di come stiano andando le cose. Per provare a capire a che punto siamo, una mia amica sta prendendo i dati quotidiani della protezione civile e li sta riportando nel grafico semilogaritmico che vedete qua sopra.
Abbiamo deciso di non riportare il numero di contagiati, perché inattendibile. Dipende infatti dal numero di tamponi eseguiti nelle ventiquattrore (che varia in maniera incontrollabile) e dalla imperscrutabile disponibilità della gente a denunciare la propria infermità.
Anche il numero di pazienti ospedalizzati risulta distorto, perché dipende dal numero di letti a disposizione (se un giorno mille malati hanno bisogno di terapia intensiva, ma ci sono solo cinquecento letti, quel giorno gl’intensivi risulteranno cinquecento).
Ci siamo quindi limitati al numero di deceduti, che dovrebbe essere il meno falsato, anche se i criteri adottati per attribuire un decesso all’epidemia distorcono anche questo numero: per capirci, se un ammalato di coronavirus cade dal balcone, in Italia sarà classificato come vittima dell’epidemia, ma in Germania come vittima di un incidente.
Con tutti questi caveat, ognuno può giudicare da sé le curve che interpolano i dati forniti dalla protezione civile e trarre le conseguenze.
Se in questo periodo i criteri di classificazione dei decessi non sono stati modificati, qualcosa di positivo si può notare: attorno al 13 marzo c’è stato un cambio di pendenza nelle curve delle regioni più colpite. Però la pendenza è ancora molto ripida e purtroppo il sud (dal Molise in giù, isole comprese) sta accelerando, dando l'impressione di voler recuperare il ritardo rispetto al nord. Certo, tentare di risolvere la "questione meridionale" in questo modo non sembra la cosa più saggia da fare.
Google non sa proprio dove mettere i soldi (18 gennaio 2014).
La settimana scorsa Google ha comprato Nest, una fabbrica di termostati digitali con un fatturato di circa 300 milioni, per 3.2 miliardi di dollari. Una somma che equivale a circa tutta l’IMU d’Italia. D’altra parte Google, quotandosi in Borsa, ha raccolto 52 miliardi di dollari, di cui non sa bene cosa fare.
A pensar male si fa peccato, ma cosa impedisce al CEO di Google di dire a quello di Nest:
- Guarda, la tua ditta vale, si e no, 300 milioni, altri 300 te li pigli tu e 2 miliardi e mezzo li depositi nel fondo Caymanese che ti dico io - ?
Bella la vita quando i risparmiatori ti danno 52 miliardi per fare quello che vuoi.
D’altra parte ai risparmiatori mica gliel’ha ordinato il medico di comprare le azioni di Google.
Che sta succedendo a Cipro? (18 marzo 2013).
Come l’Irlanda e l’Islanda, Cipro ha scelto di arricchirsi dando uno statuto “speciale” alle sue banche. Tassando in maniera irrisoria i conti correnti ha attratto un sacco di soldi. I depositi hanno raggiunto otto volte il valore del Pil e sono stati investiti in iniziative rischiose, prevalentemente buoni del tesoro greci.
La Grecia è andata com'è andata e ora le banche hanno debiti per 17 miliardi che non sanno come pagare. Come al solito, sono andate a chiederli a Bruxelles. Come al solito, è il contribuente europeo che dovrà metterceli.
Ma siccome la metà dei depositi di Cipro è intestata a cittadini russi, gli europei hanno proposto che al salvataggio contribuiscano anche i correntisti, col 10% dei depositi. Tenendo conto che in questi anni hanno incassato il 5% all'anno senza tasse (diversamente dai nostri conti che rendevano lo 0%), non sembrerebbe una misura troppo punitiva. Ma i ciprioti non hanno gradito la proposta e vogliono che paghiamo tutto noi.
In questa faccenda sembra che gli italiani, anziché essere preoccupati per la nostra quota, lo siano per i russi e i ciprioti. Forse pensano che i soldi del nostro contributo si stampino con la fotocopiatrice.
Nota aggiunta il 30 marzo. Un accordo è stato raggiunto facendo contribuire soltanto i depositi superiori a 100,000 euro, salvando quindi i piccoli risparmiatori (come inizialmente proposto dalla BCE). Naturalmente, i Ciprioti possono sempre rifiutarlo e lasciar fallire le banche. Naturalmente, poi dovrebbero mettersi in fila con gli altri creditori per cercare di recuperare i propri risparmi.
Gli Italiani invece dovrebbero notare un'altra cosa. In deroga ai trattati, i capitali ciprioti non potranno lasciare il paese. E' una misura che non ha precedenti nell'area euro. Qualcuno immagina cosa stia succedendo ai capitali italiani in questi giorni?
Come si esce da questa crisi? (4 marzo 2013).
Come sa chi è andato a scuola, in autunno si comincia con l’orario provvisorio. In Italia, ogni anno, l’inizio dell’anno scolastico giunge come un fulmine a ciel sereno e le scuole, che non se lo aspettano, sono costrette a varare l'orario provvisorio delle lezioni.
In Italia è inutile aspettarsi una risposta coordinata e coerente alla crisi economica.
Prima dell’euro, la reazione alle crisi è sempre stata la stessa: svalutazione e inflazione. In quel modo si riduceva lo stipendio dei lavoratori senza farglielo capire, si diminuiva il costo del lavoro e si svalutava il debito pubblico.
Ma da quando c’è l’euro la svalutazione è impossibile e l’inflazione è bloccata dalla stretta del credito.
Per questo, piaccia o non piaccia, la soluzione sarà di ridurre gli stipendi in maniera esplicita. La rassegnazione aiuterà a calmare gli animi. Perfino in Grecia si stanno rassegnando.
Certo, gli stipendi e i vitalizi degli alti papaveri non verranno tagliati dalla falce. È forse il martello che ci vorrà per schiacciarli? Sbagliato: né falce né martello riducono i vitalizi, semmai li difendono.
Il crollo di Wall Street (25 febbraio 2013).
I rally (le rapide crescite) e i crolli della borsa sono generati da episodi concreti, che vengono amplificati da circostanze particolari. Si noti che, da sempre, più delle prospettive economiche reali, quello che ha contato sono state le decisioni legislative in grado di influenzare i flussi finanziari. Per fare un esempio, consideriamo il rally e il crollo del 1929.
Negli Stati Uniti i boom dell’automobile e del telefono avevano portato grande euforia a Wall Street durante gli anni venti. Le prospettive delle fabbriche automobilistiche e delle aziende telefoniche spingevano su i prezzi delle azioni, ma fu quando i regolatori permisero i fondi aperti che la bolla si gonfiò per davvero. Quando cioè, i fondi d’investimento, che fino a quel momento avevano potuto possedere soltanto azioni di aziende, ebbero il permesso di detenere anche quote di altri fondi d’investimento.
Da scatole contenenti oggetti, i fondi divennero scatole di altre scatole. Stabilire correttamente il loro valore divenne impossibile, ma crebbero enormemente di prezzo. Il fondo A aumentava di valore perchè possedeva quote del fondo B, che stava crescendo perché possedeva quote di A. Approfittarne fu facile e le banche utilizzarono i soldi dei correntisti per comprare quote dei fondi d’investimento. Il mercato cominciò a gonfiarsi velocemente, fino a divenire insostenibile nel '29.
Quando ci fu il crollo, molte banche fallirono e tanti cittadini furono rovinati. Il crollo finanziario si trasformò in depressione economica. Nel ’34, per evitare il ripetersi di tali effetti, il Glass-Steagall act stabilì che le banche commerciali (quelle che raccolgono i soldi dei comuni risparmiatori) non potessero più investire in borsa. La speculazione sarebbe stata confinata alle banche d’affari, nelle quali gli speculatori mettevano appositamente il danaro per farla. In caso di fallimenti, lo stato avrebbe "garantito" i soldi dei risparmiatori, ma non quelli degli speculatori. Negli anni successivi leggi simili al Glass-Steagall act vennero adottate anche dagli stati europei.
Il crollo del '29 fu una mazzata per il settore finanziario statunitense. Ci vollero 25 anni perché il Dow Jones ritornasse ai valori del '29 (avvenne nel 1954). Negli anni '50 la borsa ebbe una crescita vivace ma nei '60 e '70 rallentò. In più di cinquant’anni, tra il '29 e l’83, l’indice crebbe di due volte e mezza, sostanzialmente in linea con la crescita del prodotto nazionale americano. In tutto questo periodo il Glass-Steagall act ebbe l’effetto di calmierare il flusso danaro che alimentava la speculazione.
Nella seconda metà degli anni ottanta, l’uscita dalla stagflazione consentì la ripresa delle economie occidentali ed anche il settore finanziario ne beneficiò. Tra l’85 e il '95 il valore della borsa duplicò e l’industria finanziaria americana divenne potentissima. Con l’incredibile quantità di denaro che si trovò in mano, non le fu difficile convincere i politici che era giunto il momento di abrogare il Glass-Steagall act. Nel gennaio 1995 un’iniziativa per abolirlo venne presentata al Congresso degli Stati Uniti.
Nella speranza che l'iniziativa andasse in porto, nei cinque anni successivi l'indice S&P 500 triplicò e quella finanziaria divenne la più grande industria degli USA (e della Gran Bretagna). Nel ‘98 i punti principali dell’atto vennero abrogati e le banche commerciali poterono finalmente riprendere a speculare coi soldi dei risparmiatori. Per partecipare alla festa, anche gli stati europei abolirono la divisione tra banche d'affari e banche commerciali. Mai come negli ultimi quindici anni l'industria finanziaria mondiale se l'è passata così bene.
Quando nel 2008 lo scoppio della bolla immobiliare minacciò l'intero sistema finanziario occidentale, le banche centrali inventarono il Quantitative Easing (Q.E.), un'espressione nuova per dire una cosa vecchia: stampare banconote. I soldi freschi vennero prestati ad un tasso molto basso alle banche in difficoltà, sia per ricapitalizzarle che per fargli comprare i buoni del tesoro degli stati, a loro volta in difficoltà.
Ma, come succede sempre quando le banche centrali tengono i tassi troppo bassi, i buoni del tesoro hanno cominciato a rendere meno dell’inflazione. Di conseguenza i privati, a cui invece il denaro non viene regalato, si sono spostati sulle azioni, sperando di salvare i propri risparmi. L’effetto collaterale del Q.E. è stato quindi di pompare una nuova bolla azionaria.
Da allora, circa ogni anno, le manovre di Q.E. sono state ripetute dagli USA, dalla Gran Bretagna, dal Giappone e, in maniera mascherata, dall'Unione Europea. Oggi la quantità di denaro stampata e "prestata" alle banche non ha precedenti nella storia finanziaria dell'ultimo secolo e i governi non sanno veramente cosa fare per tornare alla normalità.
E' difficile capire come finirà questa storia, ma fino a quando le banche centrali stamperanno moneta la pacchia della borsa continuerà.
Le chiacchiere al ristorante cinese (18 febbraio 2012).
Ma perché i tedeschi non soffrono la recessione come noi?
E tu perché vai a comprare il gelato a viale dell’Aeronautica, e non a via Baldovinetti? C'entrerà qualcosa il fatto che quello dell’Aeronautica sia più buono?
L’anno scorso la Rolls Royce ha venduto il 30% di auto in più rispetto al 2010 e la Cina ha raggiunto gli USA per numero di acquirenti. Oggi, il secondo maggior numero di ricchi si trova in Cina. Quelli che non possono permettersi le Rolls Royce comprano Mercedes, Audi o BMW, e tutti apprezzano le cose solide e ben fatte.
Ma il guaio è che quando gli capita tra le mani qualcosa di difettoso o fatto male, ci sono sempre più cinesi che pensano: la solita robaccia italiana!
Le chiacchiere sulle Olimpiadi bocciate da Monti (16 febbraio 2012).
Perché le Olimpiadi a Roma sarebbero inutili?
Perché una città come Roma (o Venezia, o Londra), che in tempi normali non riesce ad ospitare tutti quelli che vorrebbero visitarla, non ha alcun vantaggio ad attrarre ancora più gente, organizzando le Olimpiadi.
Riguardo agli investimenti, inoltre, è abbastanza evidente che spendere 500 milioni per allungare la metropolitana o sistemare le strade, porterebbe ai cittadini romani vantaggi più concreti di un nuovo impianto di canottaggio.
La verità è che, preparando queste manifestazioni, man mano che si avvicina la data dell'evento, saltano i preventivi, i controlli e le procedure di assegnazione degli appalti, perché se no: "Che figura ci facciamo davanti al mondo!" I politici e i loro compari lo sanno bene e organizzano l'ambaradan proprio per approfittarne.
Questo vale per i politici di tutto il mondo, non crediate che il sindaco di Londra, inglese e di sinistra, non lo avesse ben chiaro quando candidò la sua città.
L'economia spiegata al telefono (13 gennaio 2012). Stessa domanda, stessa risposta.
Perché hanno tolto la tripla A alla Francia?
Perché i fondi istituzionali (i fondi pensione per es.) devono, per statuto, investire preferibilmente in titoli con la tripla A. Da quando, in estate, hanno tolto la tripla A ai titoli americani, i fondi hanno cominciato a venderli per sostituirli con quelli francesi e tedeschi.
Ma il governo americano, per continuare a indebitarsi, ha bisogno che i fondi comprino i suoi titoli. Adesso i fondi dovranno vendere anche i titoli francesi che hanno in portafoglio, o cambiare i propri statuti. In entrambi i casi i titoli americani ne verranno avvantaggiati.
L'economia spiegata a mensa (14 dicembre 2011).
Capisco le paure sull'Italia, ma perché vogliono togliere la tripla A alla Germania?
Perché la maggior parte dei fondi istituzionali (i fondi pensione per es.) per statuto devono investire in titoli non rischiosi, cioè con la tripla A. Da quando hanno tolto la tripla A ai titoli americani, i fondi li stanno vendendo e per sostituirli con quelli tedeschi o francesi.
Ma il governo americano, per continuare a stampare banconote, ha bisogno di chi gli compri i debiti ed allora preme sull'euro per indebolirlo. Se riuscirà a far togliere la tripla A a Francia e Germania, i fondi dovranno abbassare la soglia (non ci saranno abbastanza triple A per tutti) e ricominceranno a comprare il debito americano.
L'economia spiegata a mia moglie (9 dicembre 2011).
Perché la Gran Bretagna è contro l'unificazione europea?
Perché la principale industria britannica è quella finanziaria, che trae il suo profitto dalle commissioni sulle transazioni. Maggiore il capitale finanziario esistente (più debiti) ed il numero di compravendite (più speculazione), maggiore è il profitto dell'industria finanziaria.
La Germania, la cui principale industria è manufatturiera, vorrebbe ridurre i debiti ed il numero di transazioni (tassandole) per spostare risorse su attività più concrete. Quindi, un'Europa a guida tedesca danneggerebbe i profitti dei finanzieri inglesi, che sono i reali manovratori della politica britannica.
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