Non si può spiegare il successo del rock ‘n’ roll se non si tiene conto dell'evoluzione dell’industria musicale e del fatto che i musicisti siano uomini come gli altri.
Fino all’inizio del Novecento i profitti dei musicisti derivavano essenzialmente dalle loro esecuzioni dal vivo. Più un musicista suonava (o cantava), più intascava, e tanto più guadagnava, quanto più gli ascoltatori pagavano le sue esibizioni. È evidente che suonare in un’osteria, chiedendo un obolo agli avventori, rendesse meno che esibirsi alla corte del re di Francia. Per questo, dal Rinascimento al Settecento, quelli bravi avevano cercato di sistemarsi a corte, assecondando i gusti degli aristocratici, e prediligendo la musica raffinata a quella popolare. Anche i papi e i cardinali pagavano discretamente, spiegando così pure la passione di tanti musicisti per la musica sacra. Chi non riusciva a sistemarsi da qualche pezzo grosso, suonava in chiesa: guadagnava poco, ma almeno campava.
Nell’Ottocento la moda dell’opera lirica cambiò le carte in tavola e portò i musicisti in teatro. Gli spettatori borghesi pagavano meno degli aristocratici, ma erano molti di più, e siccome è la somma che fa il totale, rappresentare un’opera di successo rendeva molto di più che suonare a corte. Non fu per caso che i maggiori talenti musicali dell’Ottocento virarono verso il nuovo genere. E che parecchi di loro diventarono pure ricchi.
La diffusione musicale è esistita fin dai tempi di Gutemberg. Le partiture musicali e i libretti venivano stampati regolarmente, ma i profitti della loro vendita beneficiavano quasi esclusivamente gli editori. Anche nei tempi di maggior diffusione cartacea, il grosso dei profitti dei musicisti continuò a venire dai contratti per la rappresentazione delle loro opere in teatro.
Nel 1877 venne inventato il fonografo (a cilindro), nell’87 il grammofono (a disco) e le cose cambiarono. Entrambi erano stati pensati come dittafoni da ufficio, ma una decina d’anni dopo, quando fu possibile duplicare su vasta scala i cilindri e i dischi, ad alcuni venne in mente di usarli per la riproduzione musicale. Negli anni che precedettero la prima guerra mondiale, si assistette a un impetuoso aumento delle registrazioni sonore in tutto il mondo.
La guerra portò alla gente ben altri grattacapi, ma l’accelerazione della ricerca scientifica generò un frutto portentoso e velenoso per l’industria musicale: il triodo. L’invenzione della valvola termoionica permise la nascita dell’amplificazione elettronica: poco a poco l’amplificazione acustica, dovuta esclusivamente alla tromba del grammofono, venne sostituita da quella elettrica, con risultati sorprendenti.
Il primo dopoguerra vide un aumento imponente della vendita di dischi (il cilindro venne nel frattempo abbandonato). Alla fine degli anni venti gli incassi provenienti dalla vendita di dischi erano ormai paragonabili a quelli delle esibizioni dal vivo. La registrazione della musica aveva cambiato le prospettive: vendere dischi era importante quanto esibirsi in teatro e i musicisti lo capirono al volo. Come prima era stato importante piacere agli aristocratici e agli ecclesiastici e poi ai frequentatori dei teatri dell'opera, ora conveniva soddisfare i gusti dei compratori di dischi.
Purtroppo però arrivò la crisi del ’29. La depressione che seguì il crollo delle borse ridusse enormemente la vendita dei dischi: la gente dava priorità al mangiare. Ma non fu l’unico motivo: il triodo aveva permesso anche lo sviluppo e poi la diffusione della radio. Se nel ’31 la radio era presente in due case americane su cinque, nel ’38 le case con la radio erano diventate quattro. Chissà come, la gente pensò che fosse più conveniente ascoltare gratis la musica piuttosto che pagarla. Le vendite di dischi, che nel ’29 avevano procurato 75 milioni di dollari, nel ’38 fruttarono solo 26 milioni (nel ’33 addirittura 6 milioni). L’industria discografica se la prese con la radio, ma non c’era altro modo di lanciare i suoi prodotti.
Il triodo ebbe un altro importante effetto sulla produzione musicale. Negli anni trenta, quando i musicisti si accorsero che il suono si poteva amplificare elettricamente, applicarono questa tecnica agli strumenti. La chitarra, la cui tenue voce veniva sopraffatta dalle grandi orchestre, fu tra le prime ad approfittarne. Nacque così la chitarra elettrica, il cui primo esempio “industriale” fu la Gibson ES-150 del 1936.
Anche i jukebox ne beneficiarono. Questi, in realtà, esistevano da parecchio tempo. Fin dalla fine dell'Ottocento la Wurlitzer aveva prodotto pianoforti e organi meccanici che suonavano con l'inserimento di una moneta. Negli anni trenta, grazie ai dischi a 33 giri, all'amplificazione elettronica e alla produzione in serie, i jukebox divennero oggetti molto diffusi nei locali pubblici. E nei bar frequentati dai neri furono anche l’unico modo per ascoltare la loro musica, che non veniva trasmessa dalle radio, per motivi razziali.
Il grande successo della radio depresse le vendite di dischi, benché rimanesse fondamentale per lanciare i nuovi successi. La rivista The Billboard (La locandina), nata alla fine del secolo precedente per pubblicizzare gli spettacoli teatrali, era entrata in crisi negli anni trenta a causa della recessione. Ma, grazie all’insopprimibile gusto maschile per le classifiche, si riprese dedicandosi al mercato musicale. Nel 1936 pubblicò la prima Chart Line che elencava i brani più trasmessi dalle radio e tutti vollero leggerla.
Insomma, nel ’36 i requisiti necessari alla diffusione del rock ’n’ roll: la radio, i dischi, i jukebox, le classifiche, c’erano tutti. Nel ’37 la Triumph lanciò perfino la Speed Twin, la prima versione della moto preferita dai ribelli del rock, cavalcata da Marlon Brando, da Fonzie e da Bob Dylan. Però il rock ’n’ roll non nacque: mancava qualcosa.
Nel 2021 ci sono stati accessi al sito;
la Preistoria del Rock è stata visitata volte;
e le pagine del Rock volte.