Il primo faraone regnò cinquemila anni fa [1], ma la storia dell’Egitto è molto più antica. Quando il leggendario Menes (o Narmer) unificò l’Egitto, gli Egiziani abitavano la regione già da tempo immemorabile. Le tribù che inizialmente avevano occupato l’Egitto, erano allora raggruppate nei due regni del Nord e del Sud, che Menes riunì appunto in un unico stato, dando inizio al cosiddetto periodo dinastico.
Il periodo dinastico fu preceduto da un altro periodo, anch’esso di circa tremila anni e detto, senza troppa fantasia, predinastico [2], il quale viene convenzionalmente diviso in “iniziale” per circa duemila anni (durante il quale la cultura Badariana fu quella più rappresentativa), e “tardo” negli ultimi mille (caratterizzato dalle tre culture Naqada I, II e III), durante il quale i regni del Nord e del Sud esistevano già. Il periodo predinastico fu, a sua volta, preceduto da diverse culture paleolitiche, i cui resti risalgono fino a decine di migliaia di anni fa.
Per molti versi, il periodo predinastico va considerato storico come il dinastico. Agli occhi degli egiziani, lo era sicuramente, dato che i nomi dei re del Nord e del Sud [3] erano presenti su diversi documenti e facevano parte della cronologia tradizionale.
Tentare di ricostruire la storia egiziana usando le loro fonti è complicato. Gli Egiziani (come tutti prima di Erodoto) mescolavano fatti, miti e riti (Shaw 2000, p. 4). I loro documenti, dall’iconografia sui templi ai testi dei papiri sacri, avevano essenzialmente il compito di celebrare il faraone in carica e quindi riportavano soltanto le cose adatte allo scopo (l’importanza di controllare i media è storia vecchia).
In pratica, in ogni tempio c’era la raffigurazione delle gesta della dinastia costruttrice, ma non delle sue eventuali sconfitte e poco o nulla delle dinastie precedenti. Giustamente, gli storici moderni sono piuttosto scettici sull’obiettività della maggior parte di queste iscrizioni che, nondimeno, sono spesso le uniche fonti a disposizione e costituiscono la base della cultura egiziana del tempo.
Con tutti i caveat necessari, attraverso queste iscrizioni è stato possibile ricomporre diverse cronologie parziali, che, incastrate tra loro, hanno permesso una datazione più estesa. Nella ricostruzione della cronologia generale, hanno avuto un ruolo fondamentale le cosiddette liste dei re, tra le quali, quelle più complete ed importanti sono tre.
Nel III secolo avanti Cristo il sacerdote Manetone, al servizio dei Tolomei, compilò la storia della trentina di dinastie egiziane che avevano preceduto i regnanti del suo tempo. La sua Aigyptiaka (Storia d’Egitto) è la lista dei re più estesa e popolare, ma anche la più accusata d’inattendibilità cronologica, per colpa degli autori che l'hanno tramandata [6]. Di certo, comunque, rappresenta il compendio della cronologia egiziana dei suoi tempi.
Nell’Aigyptiaka (oggi perduta e accessibile soltanto attraverso le citazioni di altri autori) Manetone attribuì l’unificazione dello stato egiziano a Menes. Dopo di lui si succedettero trenta dinastie fino ai Tolomei del suo tempo, mentre, prima di lui, l’Egitto, ancora diviso, era stato governato da un’altra moltitudine di re, tra i quali i primi avevano avuto natura divina.
Gli storici moderni non accettano l'estrema antichità invocata dall'opera. Le critiche a Manetone riguardano sostanzialmente tre punti: aver indicato troppi re prima di Menes, escludere la possibilità di contemporaneità di alcuni regni (Shaw 2000, p. 11) ed aver allungato la durata di molti regni dinastici di qualche decina di anni (per esempio attribuendo al regno di un certo faraone 16 o 26 anni, invece dei 6 che risulterebbero da altre fonti).
Nessuno potrà mai dire quanto la fantasia dell’autore (o, più probabilmente, quella di Giuseppe Flavio) ci abbia messo del suo, però la cronologia dell’Aigyptiaka era certamente in linea con la tradizione del tempo. Per comporla, Manetone attinse sicuramente a fonti precedenti, cercando di evitare le contraddizioni con esse. Tra quelle che avrebbe potuto avere a disposizione due sono giunte fino a noi, anche se rimaneggiate: la Lista di Torino e la Pietra di Palermo.
La Lista Reale di Torino [4] è un papiro ieratico trovato a Luxor nel 1820 e venduto al museo egizio di Torino nel 1824, dopo un viaggio in cui venne danneggiato gravemente e privato della parte iniziale e di quella finale. Risalente con ogni probabilità al tempo di Ramsete II (XIII secolo a. C.), elenca le 19 dinastie che precedettero la sua compilazione.
La cosa più interessante della Lista Reale è che non si trova sul recto del papiro, ma sul verso. Il recto contiene l’elenco delle capacità tributarie di un gran numero di persone ed istituzioni. In origine, quindi, il papiro era un documento amministrativo, usato probabilmente per fini fiscali (Ryholt 2005). È verosimile che, divenuto obsoleto, il retro sia stato poi utilizzato per scriverci sopra la lista dei re.
Questo particolare la rende notevole: diversamente dalle iscrizioni sui templi che, avendo fini dichiaratamente promozionali, menzionavano soltanto la dinastia in carica e tacevano delle vicende sgradite, il papiro di Torino non aveva espliciti fini propagandistici. Ne è una prova la presenza nella lista dei conquistatori Hiksos, inseriti al tempo del loro dominio sull’Egitto (e segnalati come stranieri), menzione invece sistematicamente assente sui templi.
In altre parole, la lista sembra essere una sorta di memo, forse per funzionari o sacerdoti, da utilizzare come base per comporre cronologie ufficiali o calendari di ricorrenze. Un particolare che conferisce alla lista di Torino un’obiettività storica che le altre iscrizioni pubbliche non hanno.
Ma il documento più importante per la cronologia dell’antico Egitto è la Pietra di Palermo (Hsu, 2010), il più grande e leggibile di sette frammenti, appartenenti (apparentemente) ad una stessa stele. La stele, nota come Royal Annals of Ancient Egypt (Wilkinson, 2000), era una pietra lunga due metri ed alta mezzo, posta in un tempio non identificato al tempo della V dinastia (circa XXIII secolo a. C.) e riportava, anno per anno, gli eventi memorabili e l’altezza della piena del Nilo, lungo otto righe incise su di essa.
Le righe sono divise in caselle rettangolari, la cui larghezza varia poco lungo la stessa riga, ma parecchio da una riga all’altra. Gli annali della quarta e quinta dinastia, più vicini al periodo in cui forse iniziarono le registrazioni, hanno caselle più grandi e una maggiore ricchezza di particolari di quelli delle prime tre.
Come la Lista di Torino, gli Annali includono tutte le dinastie precedenti la loro fattura e sembrano avere una funzione più pratica che apologetica. La registrazione annuale delle vicende importanti e dell’altezza della piena del Nilo (che determinava il valore dell’imposizione fiscale), lascia pensare ad un fine amministrativo o religioso per funzionari e sacerdoti.
I sette frammenti sono stati tradotti, interpretati e reinterpretati da generazioni di Egittologi, nella speranza, finora infruttuosa, di far luce sul primo periodo della storia egiziana. Anche gli Annali, come l’Aigyptiaka, presentano una lunga serie di re preunitari che, se presa alla lettera, spingerebbe l'inizio del periodo predinastico più indietro di almeno un migliaio di anni rispetto a quanto accettato dalla storiografia. Si noti che anche negli Annali i primi re furono delle divinità.
Dalla breve analisi fatta fin qui, risulta evidente che per gli Egiziani la propria storia si estendesse per diversi millenni prima del periodo dinastico, in accordo con la citazione di Erodoto dei 340 piromi ereditari che avrebbero retto il tempio di Zeus fino ai suoi giorni, la quale, con un più credibile gap generazionale di venticinque anni, spingerebbe la fondazione di Tebe a circa undicimila anni fa. La data di Atlantide proposta da Platone era dunque perfettamente in linea con la cronologia egiziana del suo tempo [5].
Sembra ugualmente chiaro che, secondo gli Egiziani, la loro civiltà sarebbe stata generata dall'arrivo di divinità dotate di poteri magici (un modo educato di indicare un'invasione di stranieri tecnologicamente più avanzati).
La leggenda platonica della conquista dell'Egitto da parte degli Atlantidi potrebbe, dunque, semplicemente derivare dal mito della nascita della civiltà egiziana, dono dei divini fondatori provenienti da occidente.
La vera incongruenza è la differenza tra l'antichità stimata dagli Egiziani e quella degli storici, che fanno iniziare il periodo predinastico circa ottomila anni fa. Tremila anni non si possono trascurare a cuor leggero, meglio controllare cosa dica l'archeologia sulla reale antichità degli Egiziani.
[1] Cinquemila anni fa è la data sulla quale oggi c’è consenso unanime, ma è interessante ricordare come non sia sempre stato così: la media degli egittologi dell’ottocento stimava l’inizio del periodo dinastico attorno a 6500 anni fa (Champollion addirittura 8000 anni fa).
[2] Corrispondente, grosso modo, al neolitico egiziano.
[3] Distinguibili da quelli del successivo regno unificato, perché raffigurati con soltanto una delle due corone regali.
[4] Alan Gardiner, editor. Royal Canon of Turin. Griffith Institute, 1959. (Reprint 1988. ISBN 0-900416-48-3).
[5] Ringiovanirla di dieci volte avrebbe avuto l’unico effetto di rendere incredibile la storia.
[6] L'Aigyptiaka è conosciuta soprattutto attraverso Contra Apionem, un libro polemico di Flavius Josephus, scritto per dimostrare la maggiore antichità della religione ebraica rispetto a quella greca classica.
Bibliografia:
Hsu, Shih-Wei: The Palermo Stone: the Earliest Royal Inscription from Ancient Egypt, Altoriental. Forsch., Akademie Verlag, 37 (2010) 1, 68–89.
Wilkinson, T. A. H., Royal annals of ancient Egypt:the Palermo stone and its Associated fragments, Studies in Egyptology, London – New York 2000.
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