Secondo l’IEA gli edifici (residenziali e non) sono i maggiori utilizzatori di energia. Nei paesi membri dell’IEA riescono a consumare il 40% di tutta l’energia primaria. E lo fanno, in prevalenza, bruciando gas naturale, direttamente oppure dopo averlo trasformato in elettricità. [1]
La stessa percentuale vale all’incirca anche nei paesi non IEA, con la differenza che in questi paesi una frazione consistente di energia primaria proviene dalle biomasse tradizionali.
La Germania spende quasi il 3.5 % del suo prodotto nazionale per scaldare e illuminare le sue case (è il secondo paese al mondo per questo tipo di spesa, grazie alle sovvenzioni concesse alle rinnovabili). Gli Stati Uniti spendono meno (meno del 2% del loro prodotto nazionale), ma è evidente che riscaldare, raffreddare e illuminare gli edifici in maniera efficiente sia un obiettivo sentito ovunque.
Come già detto, fare le statistiche sui risparmi ottenibili dalle modifiche agli edifici è praticamente impossibile, nondimeno l’importanza delle cifre in gioco hanno fatto sì che i paesi membri dell’IEA abbiano comunque deciso di affrontare il problema.
Lo hanno fatto alla maniera delle organizzazioni internazionali: definendo una serie di norme via via più stringenti che i costruttori edili devono e dovranno rispettare.
È un approccio burocratico, viziato talvolta da discutibili iniziative pseudo-keynesiane, inserite per lusingare i politici (vorrei vedere chi liberamente, per aumentare il prodotto nazionale, decida di abbattere il tetto di casa e poi ricostruirlo), ma bisogna dire che non è la prima volta che vengono poste delle regole al’edilizia (6 delle 282 leggi del codice di Hammurabi riguardavano la costruzione delle case).
Illustrare i codici energetici imposti dai vari paesi aderenti all’IEA potrebbe far cadere il lettore in catalessi, meglio non farlo e cercare di capire i principi che li hanno ispirati.
Molti ricordano che la nonna raccomandava di mettersi abiti scuri d’inverno e chiari d’estate. Chi è entrato in una macchina nera parcheggiata al sole sa anche il perché: il nero assorbe la radiazione molto più del bianco e trasmette il calore all’interno. D’altra parte, sotto il sole invernale, una macchina nera raggiunge una temperatura più gradevole di una bianca.
Il concetto è semplice, ma il problema è evidente: un edificio nero sarà caldo d’estate e tiepido d’inverno, uno bianco tiepido d’estate e freddo d’inverno. Mica può cambiarsi d’abito come raccomandava la nonna! Beh, si potrebbe ripitturarlo ad ogni solstizio, diranno i più astuti.
Purtroppo la cosa è più complicata. Chi si rammenta del corpo nero del liceo, ricorda che il nero è non solo il miglior assorbitore, ma anche il miglior emettitore. Cioè: il palazzo nero che si è ben scaldato al sole diurno è anche quello che si raffredda di più durante la notte. Bisognerebbe cambiare la tinta del palazzo due volte al giorno.
Tutto questo per dire che, al di fuori dei paesi molto caldi o molto freddi, non esistono soluzioni banali al problema della temperatura di un edificio. Esistono invece soluzioni complesse, che vanno ricercate caso per caso.
Purtroppo gl’inventori della casa passiva sono nati in Germania e in Svezia, paesi che, diversamente dell’Italia, hanno il problema del freddo ma poco quello del caldo. E quello che hanno scoperto non sempre va bene anche per noi.
Insomma il tetto nero va bene in Svezia, quello bianco in Tunisia, ma quelli in mezzo devono pensare a soluzioni su misura. L’Italia è un paese temperato, ma sufficientemente lungo da avere zone climatiche abbastanza fredde (in cui possono essere adottate le soluzioni edilizie valide in Germania) ed altre che non differiscono troppo dai paesi “caldi”. Per quelli in mezzo, il compromesso è inevitabile.
Per fortuna esiste la California, un paese con un clima simile a quello dell’Italia centro-meridionale, ma abbastanza ricco ed ambientalista da aver cercato soluzioni ecosostenibili. Ci basta guardare quello che fanno e copiare quello che ci conviene.
Basta chiacchiere. Ogni edificio, casa o palazzo che sia, scambia calore con l’esterno attraverso quello che viene definito l’involucro dell’edificio (building envelope), costituto da: tetto, muri esterni, finestre, porte e pavimento.
Le caratteristiche termiche di questi elementi determinano la quantità di calore scambiata con l’esterno. Visto che questa componente può raggiungere il 50% del consumo totale dell’edificio, [2] è naturale cercare di ottimizzare queste caratteristiche.
Questo è proprio l’approccio basilare della casa passiva: ottimizzare l’involucro dell’edificio per minimizzare i consumi.
Le case sono state costruite per fornire rifugio e protezione dalla pioggia, dal sole, dal freddo o dal caldo. Per farle, gli uomini hanno di solito usato il materiale che avevano più facilmente a disposizione: terra, legno, pietre. Ciò non ha impedito, nei secoli, di sviluppare delle tradizioni edilizie dipendenti dal sito abitato.
Nel nord Europa, ad esempio, muri in legno, finestre piccole e tetti in paglia permettevano di conservare meglio il calore in posti in cui il freddo è il maggiore problema.
Nel Mediterraneo, invece, si scoprì abbastanza presto che una mano di calce sui muri spessi e sui tetti aiutava parecchio a sopportare il caldo estivo. I ricchi, addirittura, si dotavano di un portico per l’estate e di un cortile assolato per l’inverno.
Questo succedeva quando ognuno costruiva la casa sua. Poi, circa un secolo fa, nel mondo esplose l’urbanizzazione e da allora le case vengono costruite da aziende specializzate. Il motore dell'edilizia non è più il benessere dell'individuo, ma il profitto della ditta ed i criteri costruttivi sono cambiati.
Anche per ragioni di spazio, si è cominciato ad abitare nei palazzi, che hanno muri sottili ed un rapporto superficie/volume molto più basso delle case singole. In più, per risparmiare, non sono neanche dotati di frangisole architettonici e, per motivi “estetici”, hanno spesso i colori sbagliati.
Per ostentare ricchezza, poi, si è fatto a gara per costruire grattacieli di vetro, gli edifici meno ecologici che ci siano. Ma i soldi, si sa, valgono più delle opinioni. [3]
Mentre, per tornare a noi, nell’Italia del sud, la debole identità culturale ha facilitato l’abbandono delle tradizioni edilizie mediterranee ed i meridionali, per sembrare moderni come quelli del Nord, si sono innamorati dei palazzoni.
Insomma, anche se non è vero che tutto il male sia stato figlio dell’industrializzazione, molte soluzioni adottate dall’edilizia nell’ultimo secolo sono state effettivamente peggiorative per la qualità delle abitazioni e per l’ambiente.
Eppure muri, tetto, finestre, ombra e ventilazione non è che non si sappia come bisognerebbe farli.
Chi ha comprato un frigorifero o una lavatrice di recente, avrà sicuramente visto una figura come quella accanto. Anche le case hanno una loro classificazione energetica e la figura si riferisce alle classi invernali della zona climatica E.
Naturalmente definire delle classi standard per tutta l’Italia sarebbe stato banale e così il genio italiano, che il mondo c’invidia, ha scelto di delegare alle singole regioni i criteri di classificazione, da stabilire in base ai fabbisogni delle giunte locali.
Per fortuna le variazioni da una regione all'altra non sono ampie e così possiamo farci lo stesso un’idea di cosa stiamo parlando. Prendiamo un appartamento di 100 m2 costruito negli anni ’90, il cui fabbisogno invernale al m2 sia di circa 120 kWh/m2a (e quindi di 12000 kWh/a per tutto l'appartamento).
Poiché il riscaldamento si accende nei 4 mesi più freddi, possiamo stimare un fabbisogno di circa 3000 kWh al mese, ovvero 100 kWh al giorno. Come si vede, un fabbisogno compatibile con l’insolazione invernale diurna italiana (che a Roma vale 180 kWh, vedi il paragrafo sull’insolazione) ed in linea coi valori che avevamo previsto dalla bolletta del riscaldamento.
A questo punto conviene fare alcune considerazioni di carattere generale. Le case costruite prima degli anni settanta, senza doppi vetri, senza particolare coibentazione e senza chiusure sigillate, sono quasi tutte di classe F o G, con un fabbisogno invernale di almeno 150 kWh/m2a. Senza avere la pretesa di raggiungere il livello A+ (praticamente quello delle case passive, che consumano dieci volte di meno), dimezzare i consumi è possibile senza sforzi esagerati.
Qualunque sia il motivo che ci animi: la salvezza del pianeta, quella delle risorse energetiche, o quella del portafoglio, una cosa dobbiamo tenere presente: un kWh non consumato è comunque meglio di un kWh prodotto con la più pulita delle fonti energetiche.
Ricordiamo tre percentuali: gli edifici consumano il 40% dell’energia primaria; il trasporto su gomma il 18%; le sole auto il 10%. Per intenderci: ridurre di un quarto il consumo degli edifici (cosa che in vent'anni si potrebbe forse fare) equivarrebbe ad eliminare tutta la benzina bruciata oggi dalle automobili.
È il momento di riassumere con un numero quanto consumano gli edifici. Prendiamo una coppia che viva in un appartamento di 100 m2 costruito prima degli anni ’80 (la maggioranza delle case), situato tra la classe F e la G, diciamo da 175 kWh/m2a. Per la casa, ognuno dei due occupanti consuma quasi 9000 kWh l’anno, cioè circa 25 kWh al giorno. Un numero da ricordare quando si valuta l’apporto delle rinnovabili.
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