Pirrone di Elide era uno scettico: sosteneva che la realtà fosse incomprensibile e che quindi non valesse la pena né di capire né di agire.
Studiava scetticismo da Anassarco di Abdera ed un giorno, mentre i due passeggiavano, Anassarco cadde in un pantano, ma Pirrone continuò a camminare senza aiutarlo.
L’indomani, quando gli altri discepoli rimproverarono Pirrone di non aver soccorso il maestro, fu lo stesso Anassarco a elogiare la sua impassibilità.1
Osservando i Siciliani a Palermo, mi sono spesso chiesto il perché della loro avversione per l’azione. Per non dire della loro diffidenza verso ogni forma di conoscenza. Lo scetticismo di Pirrone potrebbe spiegare l’origine di tale comportamento. Peccato, però, che nella Magna Grecia le scuole filosofiche siano state essenzialmente dogmatiche.2 Solo trovando traccia di una scuola siciliana scettica, la nostra indolenza sarebbe legittima.
Il maestro di Pirrone, Anassarco, era stato discepolo di Diogene di Smirne, a sua volta discepolo di Metrodoro di Chio, il quale non sapeva nulla, neanche di non sapere nulla.3 Uno che partiva veramente da zero.
Socrate, che seppe soltanto una cosa: di non sapere nulla4, compì il primo passo verso la conoscenza.
Zero cose. Una cosa. E due cose? Ci fu mai qualcuno che le seppe? Peccato che, dopo Socrate, tutti abbiano detto di sapere tutto, anche se tutti un tutto diverso dal tutto di tutti gli altri.
È evidente che tra non sapere nulla e sapere tutto ci sia un bel salto. Perché la sequenza di piccoli passi iniziata da Metrodoro e Socrate è senza continuazione? Com’è possibile che tra quelli che non sapevano nulla e quelli che sanno tutto non ci sia stato nessuno che sapesse solo qualche cosa?
E i Siciliani non sanno veramente niente, oppure qualcosa sanno, ma preferiscono tacere?
[1] Diog. L.: IX, 61. Anche Anassarco era uno scettico. Diogene Laerzio divideva i filosofi in dogmatici (che ritenevano la realtà comprensibile) e scettici (i quali invece pensavano che la realtà fosse incomprensibile e sospendevano il giudizio), (Proemio, 16).
[2] Diogene Laerzio denominò le scuole filosofiche dalla zona geografica in cui fiorirono: chiamò Ionica (dall’attuale costa occidentale della Turchia) quella iniziata da Talete di Mileto, e Italica quella di Pitagora di Samo, che, trasferitosi in Italia, continuò qui lo sviluppo delle sue teorie dogmatiche, (Proemio, 13, 14). Secondo Diogene, in Sicilia (e in Italia) non ci furono scuole scettiche.
[3] Diog. L.: IX, 58.
[4] Una cosa soltanto so: di nulla sapere. Achille Campanile: Vite degli uomini illustri, Socrate; (cito a memoria, il libro è ormai introvabile).
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